Figlio di papà - Dino Pešut, Bottega Errante Edizioni

Un protagonista anonimo, un lavoro anonimo in un paese che cambia in modo vorticoso e caotico, speranze lasciate a marcire come i muri di un sottoscala troppo umido per abitarci.
Questo romanzo comincia con poche righe taglienti come la storia, assolutamente non apologetica per nessuno dei personaggi coinvolti.
Cosa succede quando il padre con il quale non hai mai avuto davvero un rapporto ti dice che sta morendo? Correre da lui o fuggire ancora più lontano, magari tra le braccia di altre figure paterne?
Dino Pešut non dà risposte facili, nessuno si salva se non da solo e ogni catastrofe viene ridimensionata se la si guarda nella giusta prospettiva.
Un racconto limpido e tagliente, a volte quasi brutale ma sempre sincero, di quella generazione croata che ha avuto per prima l’assaggio della libertà nel senso occidentale del termine.
Ammetto di aver letto questo romanzo dopo aver conosciuto la sua traduttrice, Sara Latorre, venuta in libreria a presentare “Le trappole della buona educazione”. Le sue riflessioni sulla Jugosfera e su quanto ci sia di simile tra le due sponde dell’Adriatico si esplicitano tra le pagine che ha tradotto. Non c’è estraneità in un mondo globalizzato, il sentimento di alienazione e smarrimento è lo stesso, un prodotto che non conosce limiti geografici né linguistici.
In questo romanzo il protagonista - che ha un nome ma io spoiler non ne faccio per principio religioso quindi meglio le ripetizioni che gli spoiler - non compie il solito viaggio dell’eroe, non è una telemachia, ma rivela senza filtri un'umanità disarmante e pienamente sincera, almeno con il lettore.
In un mare di trame simili, su temi simili e con finali fin troppo scontati, "Figlio di papà" regala freschezza e realismo senza mai scadere nel banale.

Benedetta