Un fumetto non è mai solo un fumetto, se ne faccia una ragione chi considera questa forma d’arte come la pecora nera a cavallo tra letteratura e disegno. Nel caso di ‘Senza rabbia non vale nulla’ un tratto grafico essenziale e un bianco e nero netto sono il mezzo con cui raccontare una storia stratificata di appartenenza, di ritorno e di resistenza. A primo impatto potrebbe sembrare una storia solo autobiografica: l’autore racconta il ritorno a Taranto dopo aver perso il lavoro a Torino, la vergogna come principale bagaglio. La disoccupazione e il ritorno a casa come sconfitta si scontrano sia con gli amici rimasti, sia con la famiglia. Se gli amici subodorano, comprendono e schiaffeggiano moralmente il protagonista, il padre è una delle figure più belle raccontate in queste pagine. Ex operaio, ex promessa del calcio, rappresenta tutti i sacrifici e le prevaricazioni che un genitore riesce a sopportare per la propria famiglia. Nel mio cuore però rimane soprattutto Annacì, l’amica del protagonista che spero sia anche solo vagamente somigliante alla versione cartacea. Benedetta
Altro protagonista è Taranto, città sequestrata dalla speculazione edilizia da una parte - la gentrificazione carina per i nomadi digitali - e dal ricatto tra lavoro e salute dall’altra. La distruzione di una pineta diviene il contesto e il pretesto per coinvolgere la popolazione nel reclamare la difesa di ciò che ancora rimane pubblico e ricordare i sacrifici fatti sia in termini di salute pubblica, sia in vite perse.
In un viaggio a ritroso tra viaggi e partenze, incomprensioni generazionali e amicizie cementate dall’inchiostro, Holdenaccio stratifica biografia personale e collettiva, in un continuo rimando tra presente e passato, dove il futuro è per fortuna qualcosa ancora da scrivere. Tra melanzane e dialetto, camerette simulacri d’adolescenza e stazioni ferroviarie, questo libro è un esempio di come si possa raccontare in modo trasversale biografia, politica e storia di territori.